


«Donne pericolose», questo il titolo della tesi di laurea di Ilaria Fazzini, una tesi sulle donne internate nei manicomi di Cremona nella seconda metà dell’Ottocento, e che adesso è diventato un libro grazie alla Società Storica Cremonese presieduta da Angela Bellardi. Un racconto documentale, una ricerca su un aspetto sconosciuto di una realtà cremonese che porta il lettore in mondo di pregiudizi e sofferenze. Il libro è stato presentato nei giorni scorsi in un Salone dei Quadri gremito, alla conferenza hanno partecipato l’autrice e la vicesindaca Rosita Viola.
È stata Angela Bellardi a introdurre la relatrice: «Il tema è di notevole impegno – ha detto la presidente – presenta la storia degli internate nel manicomio di Cremona dal 1868 al 1904, la storia ancora più triste e dolorosa, perfino ingiusta, di migliaia di donne. I fascicoli che ha studiato Ilaria Fazzini sono ben 2134, conservati nell’Archivio di Stato di Cremona, emergono casi di donne emarginate, e non sempre con evidenti e certificati squilibri psichici, ma più frequentemente vittime di non facili situazioni familiari e di indigenza».
La ricerca di Fazzini è a tutto campo, dalla nascita delle istituzioni manicominiali nel nostro Paese si addentra alla situazione Cremonese. Non prima però aver analizzato le condizioni sociali ed economiche da dove le internate provengono, le relazioni famigliari, le malattie, o presunte tali che spesso non vengono accettate dai nuclei di provenienza. L’autrice si sofferma anche sui sistemi burocratici di ammissione ai manicomi e la rappresentazione della follia, le cure mediche, le diagnosi. Ed ecco poi che dal libro emerge forse la parte più toccante: le lettere delle internate, gli scritti verso l’esterno che testimoniano il disagio e la sofferenza. «Cari genitori, io non comprendo possibile condizioni in cui mi trovo qui in mezzo ai pianti e ai lagni sono disperata mi pare ovunque udire lamento di infelici giungere fino a voi, fino ai miei figli a mio marito, ai miei parenti, ma questa è prigione più crudele dello stesso carcere. I primi due giorni sono stata legata al letto che non potevo muovermi, ora sono in un’altra cameretta con 5 ammalate compagne di sventura» scriveva una trentaquattrenne di Casalmorano. Mentre una povera domestica di 18 anni dice ai genitori «Qui mi piace, mi vogliono bene le infermiere che ci sono e trovo felice compagnia». Una lettera che forse spiega il degrado da dove questa giovane internata proveniva. Ma di contro un’altra, che era stata violentata dal medico scriveva: «Non potete immaginarvi come sono desolata essere chiusa in questa casa di salute, lontana da tutti i miei cari parenti. Non credeva che foste crudeli ad abbandonarmi avendo ancora tutti i miei sentimenti. È vero che delle volte dicevo cose che non dovevo dire, ma lo facevo per burla, perché anch’io ho un’anima da salvare».
Il libro, 10 euro, è acquistabile alla libreria Ponchielli.