

Per le celebrazioni dei 100 di Pier paolo Pasolini in Adafa si è tenuto un incontro che ha toccato un aspetto particolare del poeta: le sue composizioni in dialetto friulano. All’incontro sono intervenuti Giancarlo Corada, già sindaco di Cremona, che durante il suo mandato aveva ricordato con una targa, sulla casa di via Platina, il soggiorno cremonese del poeta. Hanno letto le poesie in friulano Elena Colonna e Vittorio Storti, dell’associazione ‘Fogolar Furlan’ e Vincenzo Montuori, già docente, e segretario Adafa, che ha organizzato l’incontro e tenuta la relazione conclusiva.
Investigare tutti gli aspetti della multiforme attività di P. P. Pasolini, il Pasolini poeta in dialetto friulano e in lingua, il regista, lo sceneggiatore, lo studioso di folclore, il saggista e il polemista, lo scrittore di teatro, il romanziere e l’articolista fino al disegnatore, sarebbe un compito immane, che sicuramente esula dai compiti della presente occasione di incontro; ma un fatto è documentato senza ombra di dubbio: e cioè che i primi passi autonomi nel campo della letteratura, aldilà delle esercitazioni adolescenziali, Pasolini li ha compiuti nei due settori di cui oggi tratteremo, la poesia in dialetto friulano e l’interesse per il folclore popolare. Infatti, il primo ambito che il poeta investiga e pratica per diversi anni, dalla pubblicazione della plaquette “Poesie a Casarsa” (1942) fino al volume riassuntivo di questi esperimenti (“La meglio gioventù” -1954) si accompagna e si interseca con i suoi studi di tipo filologico, grazie all’influenza della lezione di G. Contini, studi che contribuiscono alla rinascita letteraria friulana, rinascita che ebbe il suo centro, come si diceva, nella “Academiuta de lengua furlana” di cui ha parlato la nostra ospite: l’”Academiuta” fu fondata il 28 febbraio 1945 dallo stesso Pasolini e da alcuni poeti suoi amici (Giacomini, Cantarutti, Vit, Tavan e Di Monte) e pubblicò cinque numeri di una propria rivista, “Stroligùt” – “Lunarietto”. Quindi, il poeta dialettale opera di pari passo con lo studioso della poesia e del folclore dialettali; ma ciò avviene, come cercherò di spiegare, in modi piuttosto eterodossi e diversi rispetto alla tradizione sia delle poesie che degli studi di dialettologia.
Cominciamo dalla pratica poetica: il volume delle “Poesie a Casarsa” con cui P. esordisce è formato da un nucleo iniziale di testi databili agli anni 1941-1943; ad esso seguono alcune sezioni della parte prima; intanto il poeta elaborava una seconda parte tra il 1947 e il 1953 cui dava il titolo di “La meglio gioventù”, che è lo stesso del volume riassuntivo del 1954. Dopo circa venti anni, Pasolini ritorna alla pratica poetica in friulano con poesie nuove che hanno il titolo di “Seconda forma de “La meglio gioventù”” e che vengono proposte insieme al volume del 1954 con il titolo “La nuova gioventù” nel volume einaudiano del 1975, che si chiude con un appendice di poesie italo-friulane: come si vede l’itinerario pasoliniano si apre e si chiude con la poesia in vernacolo, in un processo di ampliamento e stratificazione continui rispetto ai materiali originari. Il poeta, in quanto alla riflessione sulla poesia popolare, si rifaceva alle teorie “felibriste”, promosse in Provenza alla metà dell’Ottocento, teorie che rivendicavano il primato della espressione dialettale sulla lingua letteraria ufficiale; esse predicavano il recupero di una lirica locale pura, estranea a contaminazioni con la lingua nazionale; sta di fatto che l’area del Friuli occidentale dove si trova il paese natale della madre del poeta, Casarsa, è priva di una tradizione popolare scritta: ciò consente a Pasolini di adottare una sorta di idioletto locale basato sul dialetto parlato dalla madre, Susanna Colussi, per cui egli è costretto, in pratica, a inventarsi una tradizione scritta. In questo senso, la sua è un’operazione, pur sotto la veste del recupero del patrimonio vernacolare, fortemente e consapevolmente letteraria, da poeta colto che adatta un dialetto basico, parlato, alle sue personali istanze espressive. Tale operazione è tipica dei poeti in lingua che iniziano a scrivere in dialetto in vista di un recupero cosciente delle proprie origini, spesso ibride; Pasolini, infatti, è di madre casarsese e padre bolognese, così come accade a Franco Loi, di padre sardo e madre emiliana, nato a Genova e trasferitosi da bambino a Milano, che si inventerà in poesia un dialetto milanese tutto suo.
In sostanza, da un lato, l’adozione del friulano poteva rappresentare la riappropriazione delle radici materne da parte del poeta rispetto all’educazione medio-borghese ricevuta in famiglia; dall’altra essa gli consentiva di utilizzare il repertorio simbolico di matrice decadentista e addirittura ermetica in una modalità del tutto nuova: voglio dire che la poesia dialettale di Pasolini non è affatto una poesia semplice o di impianto descrittivo ma recupera ad esempio certe istanze del mondo pascoliano per quell’indugiare tra la memoria sognante di un ambiente leggendario e il sentimento di colpa di chi non ne è partecipe fino in fondo (considerata la formazione culturale “alta” di cui sopra). La tematica di questi testi è dominata dal triangolo madre-giovinezza-morte e sottolineata dal ricorrere di motivi-chiave come quello del mito di Narciso. Nell’orizzonte leggendario del paese materno ognuno è, prima ancora che “compagno”, “fratello” in una comunanza di esperienze che è cifra e segno di un’identità condivisa. E i testi di quell’attività poetica si denotano anche per l’uso di metafore complesse a testimonianza della natura “letteraria” di quella poesia. Nella seconda parte del libro, peraltro, il poeta si apre, almeno in parte, rispetto alla focalizzazione totale sull’io e sulla vita del paese, alle problematiche della storia, soprattutto nell’ultima sezione (le poesie italo-friulane di “Tetro entusiasmo”). Tutto ciò si accompagna ad una elaborazione verso la pratica sperimentale di strutture strofico-metriche che, già trenta e venti anni prima, erano state caratterizzate da una forte complessità: troviamo, infatti, non solo utilizzati vari metri della poesia in lingua italiana ma il poeta si avvale anche delle strutture della poesia popolare (villotte, romanceri, pastorelle, ballate) su cui andava investigando da studioso del folclore; e in questo senso è palese la relazione tra questi testi e la raccolta del “Canzoniere italiano”.
Per quanto riguarda quest’ultima (Guanda, Parma, 1955), bisogna ricordare che lo studio da cui derivò la pubblicazione dell’opera, gli fu commissionato dall’amico e poeta Attilio Bertolucci; la pubblicazione esce quasi in contemporanea con il volume riassuntivo della sua produzione dialettale, “La meglio gioventù”. Il Pasolini studioso della poesia dialettale, rispetto al Pasolini poeta vernacolare in proprio, critica decisamente l’impostazione idealistica (e romantica) secondo cui esisteva una dicotomia tra la lirica ufficiale e quella popolare come espressione della cultura del popolo; ma egli è altrettanto critico nei confronti degli studi di impronta positivistica e marxista, a partire dalle analisi di Giuseppe Pitré sui canti popolari siciliani e sugli studi di poesia popolare, in quanto, a suo giudizio, essi sono troppo attenti alle notazioni minute, al dato di fatto nudo e crudo. Nella sua lunga introduzione al “Canzoniere italiano”, P. ci offre un panorama della poesia popolare italiana che, pur con i limiti e le rigidità di una visione dichiaratamente politica del fenomeno, è ancora oggi indicativa: egli ci dimostra, infatti, come non esista ormai una netta dicotomia tra la cultura “alta” e quella “popolare”, come i due piani possano intersecarsi e come la seconda possa attingere temi e stilemi da quella ufficiale in un’osmosi che caratterizza le vicende culturali italiane dagli anni Cinquanta in poi, quegli anni in cui l’avvento delle comunicazioni di massa rende più fluidi e fecondi i rapporti tra i due livelli. Il lascito del messaggio pasoliniano, sia attraverso le poesie che attraverso la realizzazione dell’antologia del “Canzoniere” consiste insomma in questa lucida consapevolezza del rapporto tra coscienza linguistica e tradizione poetica che si incarna nella scrittura e che costituisce il contrassegno unificante di una comunità di parlanti, grande o piccola che sia.