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Stefano Jacini, politica e cattolicesimo

Tra Benedetto Croce e Alcide De Gasperi. Certamente la personalità culturale e politica di Stefano Jacini junior, nato nel 1886 e morto nella sua residenza milanese settant’anni fa, il 31 maggio 1952, non si esaurisce nei due riferimenti, al filosofo della libertà e allo statista democratico cristiano. Ma di entrambi egli fu amico e interlocutore costante, sebbene non siano mancati, con il primo, forti divergenze di origine religiosa, soprattutto negli anni seguiti ai Patti lateranensi e all’uscita della crociana Storia d’Europa; e, con il secondo, differenze di vedute storico-politiche, anche in ordine al referendum istituzionale del 1946, e qualche delusione nell’ultimo tratto di vita.

Il loro dialogo critico a tre voci, con Jacini in posizione mediana, risulta imprescindibile per comprendere una figura meno conosciuta di quella del nonno Stefano senior (1826-1891), ministro con Cavour, Lamarmora e Ricasoli, che dette il nome alla grande Inchiesta agraria dell’Italia post-risorgimentale. Se Stefano junior non può dirsi un protagonista della vita politica italiana del Novecento – deputato popolare, poi costituente e senatore democristiano, fu ministro della Guerra per pochi mesi del 1945 nel debole governo Parri – , egli testimonia tuttavia, tra fede, storiografia e impegno politico, un percorso originale e interessante all’interno della tradizione cattolica e liberale della sua famiglia. Dai suoi fitti carteggi, trasferiti nel 2016-17 dal palazzo Jacini di Casalbuttano all’Archivio di Stato di Cremona, ha attinto Federico Mazzei, ricercatore di storia contemporanea all’Università di Bergamo, per pubblicare nelle edizioni Studium due volumi meritevoli di attenzione, che, attraverso la corrispondenza con Croce, e quella, più corposa, fra De Gasperi e Jacini, si richiamano l’un l’altro. Il primo, uscito nel 2016, è intitolato Cattolicesimo liberale e “religione della libertà” (pagine 196), ha la prefazione di Roberto Pertici e riguarda le relazioni intercorse tra il filosofo e il conte di Casalbuttano; il secondo, del 2020, tratta dei Cattolici di opposizione negli anni del fascismo (pagine 668)e si sviluppa sull’asse dell’epistolario 1923-1943 fra De Gasperi e Jacini, nella prima parte già studiato e pubblicato, nel 1984, da Rosellina Gosi.

Jacini aveva condiviso con Croce l’interesse per la cultura tedesca e la tendenza neutralista rispetto all’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale, apprezzandone poi anche la politica scolastica quale ministro della Pubblica istruzione (1920-21). Lo considerava un esempio di “serietà di ricerca” e di “formazione interiore” per tutti gli studiosi italiani. Croce, invece, non era mai stato tenero con l’esperienza dei cattolici modernisti – fra i quali i giovani redattori del ‘Rinnovamento’ come Jacini – e, non meno di Giovanni Gentile, aveva approvato, lui non credente, “la tradizionale chiaroveggenza” e la severa condanna della Chiesa di San Pio X nei loro confronti. Aperto e pragmatico fu tuttavia in seguito il suo atteggiamento nei confronti di quanti di loro – Alessandro Casati, Tommaso Gallarati Scotti, lo stesso Jacini – si accostarono alla politica con ideali liberali, ma non necessariamente, come i primi due, associandosi al Partito liberale italiano. Per Croce, infatti, il liberalismo era un pre-partito, e anche a Jacini è riferibile il passaggio di uno scritto del 1945 nel quale il filosofo, al di là di tutte le distanze speculative, così si esprimeva: “Io conosco e stimo e amo e considero amici e fratelli molti cattolici, schiettamente liberali; né ciò solo nei nobili ricordi della storia del Risorgimento, ma nel presente”.

Quanto a De Gasperi, nel secondo volume, Mazzei mette in luce come la formazione culturale di Jacini, radicata nel patriottismo risorgimentale, fosse “decisamente estranea al retroterra ” del politico trentino, e come tuttavia Jacini sottoponesse all’amico alcune sue opere – tra le quali La crisi religiosa del Risorgimento (1938)o il saggio (1939) sul protestante toscano Piero Guicciardini per una revisione previa, dotata di “acribia inquisitoriale” (così, autoironico, De Gasperi) che ne garantisse la compatibilità con l’ortodossia cattolica e ne scongiurasse la messa all’Indice.

Mazzei riporta anche un brano dell’articolo di De Gasperi pubblicato su ‘Il Popolo’, quotidiano della Dc, il 1° giugno 1952 all’indomani della scomparsa di Jacini, nel quale l’allora presidente del Consiglio lo ricordava “fedele nella buona e soprattutto nell’avversa fortuna…Mi dimostrò amicizia quando altri, per necessità o debolezza ritrassero da me una solidarietà che poteva riuscire pericolosa; né questa solidarietà Egli dimostrò solo per il legame di una lunga e provata amicizia, ma per un senso di fierezza e generosità”. De Gasperi testimoniava così dell’aiuto concreto, pure economico, di Jacini nel periodo di carcere inflittogli per “tentato espatrio clandestino” e di successivo ‘confino’ negli uffici della Biblioteca Vaticana, dal 1929 al 1943, escluso, in un primo tempo, da contatti con il pubblico. De Gasperi era stato, nel ventennio della dittatura, insieme all”Osservatore romano’ e a monsignor Giovanni Battista Montini (il futuro Paolo VI), figlio di Giorgio, ex deputato popolare, tra i bersagli preferiti del ‘Regime fascista’ il quotidiano cremonese di Roberto Farinacci, che sospettava una ricomposizione, all’ombra della cupola di San Pietro, dell’antifascismo cattolico e “dell’infausta politica rappresentata dal binomio don Sturzo-Miglioli”.

A proposito del politico e sindacalista cremonese Guido Miglioli, anch’egli già deputato popolare, le lettere scambiate nell’estate 1943, dopo l’arresto di Mussolini, fra De Gasperi e Jacini rivelano le tensioni interne al cattolicesimo politico circa l’adesione o meno di Miglioli alla costituenda Dc. Mentre gli esponenti cremonesi del popolarismo, come Giuseppe Cappi (futuro presidente della Corte costituzionale) e Giuseppe Ghisalberti apparivano disponibili, De Gasperi nutriva riserve, e Jacini manifestava forte contrarietà. De Gasperi, incontrando Miglioli, disse di non vederlo bene “stretto fra i quadri di un partito… in certi momenti si potrà fare del cammino assieme, senza imbarazzarci reciprocamente”. E Jacini riferì a De Gasperi anche di un colloquio con monsignor Giovanni Cazzani nel quale il vescovo di Cremona aveva espresso, in termini manzoniani, la speranza che “si potesse trovare una nicchia un po’ lontana” per Miglioli, al quale aveva “raccomandato di astenersi dal lavoro politico”. Al contrario, nelle elezioni cruciali del 18 aprile 1948, Miglioli, dopo avere fondato il Movimento cristiano per la pace, si candiderà, senza risultare eletto, nelle liste del Fronte popolare socialcomunista.