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Marina Sissa: l’energia del colore

Tra gli artisti-soci dell’Adafa, che hanno contribuito a far conoscere la vitalità del percorso culturale cremonese, occupa un posto di rilievo Marina Sissa, una pittrice che ha fatto del colore assoluto la chiave di lettura del mondo, mediante una scelta estetica del tutto personale capace di unire all’estro creativo un’abilità tecnica di grande suggestione. Dopo aver frequentato il gruppo Artistico “Leonardo”, si è diplomata all’Accademia delle Belle Arti di Brera. Agli anni ‘70/’80 risalgono le sue prime mostre, alle quali fa seguito un’attivissima partecipazione a personali e collettive internazionali, nazionali o in gallerie private di punta dove espone le sue opere, espressione di un’effettiva incisività sulla cultura visiva e sul dibattito artistico coevo. Nella fortunata serie delle due ruote Marina Sissa affronta una tematica di grande attualità, carica di sfumature sociali ed ecologiche, attraverso l’uso totale del colore. In queste opere grovigli di ruote, manubri, sellini dai mille colori si affollano, come attori su una scena senza tempo, nello spazio organizzato attraverso una costruzione prospettica che evoca luoghi cittadini carichi di storia, interni famigliari e placidi paesaggi fluviali. Al leitmotiv delle biciclette si accosta in parallelo un altro tema ricorrente e distintivo della sua pittura, quello dei fiori di campo della terra cremonese. Anche in questo caso la riproducibilità del soggetto, azzerando il momento contingente, si riverbera sulle forme attraverso l’uso di colori forti sapientemente accostati, stesi con una pennellata molto pulita fatta di campiture. Rinunciando al disegno, l’artista vuole che sia il colore stesso a creare le forme e il dinamismo, a esaltare quella energia vitale “alternativa” che sottende alla realtà delle cose.  

Lei ha scelto per questa intervista il titolo “L’energia del colore”. Perché? 

Sono i colori a plasmare la forma, a darle vita, accostati in modo che essa emerga sulla tela. I colori non si devono fondere, ognuno ha la sua funzione, ha una sua precisa simbologia. Per questo adotto una pennellata molto pulita.

Dagli esordi ad oggi: un’attività d’artista molto intensa e ricca di soddisfazioni. Quali le tappe fondamentali?

Ho iniziato negli anni Settanta a frequentare il Gruppo Artistico “Leonardo”, poi mi sono diplomata all’Accademia delle Belle Arti di Brera con la tesi “L’uso del colore dal simbolismo dell’antichità all’uso terapeutico oggi”. Tra le innumerevoli esposizioni alle quali ho partecipato, sia in Italia che all’estero, ricordo con piacere quella nel “Vagone Dali”, a Roses in Spagna; del 1998 è la mostra “Arlecchino” al Piccolo Teatro di Milano in omaggio a Strehler, riproposta in seguito a New York, San Francisco e Toronto; nel 2005 espongo a S. Paul de Vence, seguono le personali “Arte in Villa” nella straordinaria location della villa Manna Roncadelli a Grumone e nel 2018 a Cremona presso la sede dell’Adafa. Nel 2011 è arrivato il riconoscimento alla carriera con il Premio Agrumello. All’attività pittorica si è affiancata anche quella didattica e ho rivestito l’incarico di vicepresidente e responsabile del settore “Mostre d’arte visiva” presso l’AICS Cremona Arte. 

Recuperando l’argomento della sua tesi, in che senso il colore può essere terapeutico?

Il grande Kandinsky, parlando di colore simbolo immagine, aveva classificato i colori in base alla precipua sensazione che procurano nell’osservatore. Ogni colore ha un’anima che può essere decodificata. Personalmente amo i colori brillanti, solari perché sono un mezzo per esprimere la mia esuberanza, quella “joie de vivre” che mi spinge a creare sempre nuove varianti e a rendere i colori più timbrici. Nelle mie opere sono assenti il chiaro-scuro e le sfumature. Non c’è inquietudine nella mia pittura.

La famosa serie delle biciclette esprime un mondo di emozioni e colori intensamente vissuto. Da dove è nata?

L’idea di raffigurare le biciclette nasce quasi per caso da un’occasione semplice e inaspettata. Tutto è iniziato da una cantina in cui ho visto accatastati degli oggetti ricoperti dalla polvere del tempo: creature dimenticate nella penombra, eppure un tempo vive e funzionanti. Tra bauli, utensili e vecchi divani c’erano anche delle biciclette. Così ho pensato di smontarle e rimontarle rianimandole con il colore. Le due ruote simboleggiano per me l’uomo che vive in libertà nella natura e negli spazi quotidiani, in armonico rapporto con gli altri. Raffiguro le biciclette sempre in stato di quiete, lasciando che sia il colore a suggerire il movimento. 

 La sua pittura, quindi, può essere ambasciatrice di libertà?

Sicuramente. Intendo la ricerca del colore come forma di libertà. Voglio che sia dialogo nella diversità e canto libero che non accetta schemi e restrizioni.