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Vittoria Rossini: tra favola e colore

“Intanto ci vuole passione” esordisce la pittrice Vittoria Rossini, all’inizio della conversazione con cui riprendiamo volentieri la serie di interviste agli artisti dell’Adafa, tra i più qualificati interpreti del nostro tempo e dei valori profondi della cultura cremonese.

“E poi servono punti di riferimento autorevoli” aggiunge, ricordando con delicata nostalgia quei maestri che le hanno dato un’impronta precisa: a Cremona Giuseppe Pieresca e il pittore Giovanni Misani, a Parma per la figura Renato Vernizzi e Gianfranco Manara, a Cantù Roland Hettner che la introduce nel mondo delle lacche, da cui deriva l’abitudine di usare i colori attentamente miscelati per ottenere una campitura fluida e compatta. Per lei il colore ha, infatti, un ruolo fondamentale perché suscita le prime sensazioni di piacere e di soddisfazione oppure di dispiacere e di rifiuto. Anche la forma è importante: quello che conta è la composizione, indipendentemente dalla prospettiva e dal volume.

È dopo l’esordio negli anni Sessanta che Vittoria Rossini sviluppa e approfondisce l’indagine, molto personale, del rapporto tra il colore e il mondo magico delle fiabe, aspetto che costituisce la cifra connotativa della maggior parte della sua produzione. In tal modo intreccia, con sapiente manualità e attenzione alle dinamiche del presente, cultura personale e cultura per l’infanzia, facendo riemergere quel “fanciullino” che è in noi, destinato a diventare nel corso della sua lunga carriera pittorica la metafora di un mondo che- scrive Angelo Rescaglio- “si fa storia dell’anima” e “apre ai segreti della felicità”. Le sue immagini sono caratterizzate dal disegno geometricamente distribuito secondo l’equilibrio dei vuoti e dei pieni e da una grafica molto elegante e raffinata. Da qui un primo prestigioso riconoscimento della sua pittura negli anni Ottanta con la medaglia d’oro conferitale a Parma, a cui è seguita la costante presenza dell’artista in numerose personali e collettive sia a Cremona che in ambito nazionale.

Una vita dedicata all’arte. Come inizia questa sua avventura?

“In casa mia c’erano molti oggetti artistici, frutto dell’eredità di una bisnonna che aveva sposato il mio bisnonno Giovanni Lonati, poeta cremonese autore della famosa raccolta di poesie in dialetto “Gazaboi”. Tutti in famiglia erano appassionati d’arte, quindi ho vissuto fin da bambina in un ambiente molto sensibile e stimolante in questo senso. I primi passi avvengono nell’esercizio del disegno come autodidatta, poi le lezioni a Cremona, Parma e a Cantù, dove ho conseguito nella Sezione Lacche il diploma di maestro d’arte.

Perché la predilezione per la lacca?

“Tutto è scaturito e si è sviluppato frequentando l’ambiente dell’Istituto d’Arte di Cantù, ma soprattutto mi sono accorta che questa tecnica corrispondeva al mio modo di esprimermi attraverso i colori, con le sue campiture nitide e la ricerca del particolare decorativo. Quella della laccatura è una tecnica piuttosto elaborata che si sviluppa in vari passaggi e richiede molta pazienza”.

Questo gusto per il minuzioso decorativismo, oltre che all’arte del ‘700, sembra riportare ai modi della miniatura.  

“In effetti ho anche dipinto miniature su porcellana e riprodotto particolari di miniature antiche, per il gusto proprio di rivivere la sensibilità e l’atmosfera dei secoli XIII e XIV”.

Si può dire che la sua poetica sia sospesa tra la dimensione della favola e quella del reale?

“Certamente. La mia infanzia felice è riemersa con prepotenza nella pittura degli anni della maturità, facendomi rivivere il mondo delle favole e dei giochi attraverso il recupero capillare dei miei stessi giocattoli ma anche della ricerca, quasi ossessiva, di oggetti simili sui mercatini, per alimentare una collezione che ancora oggi sembra non avere fine. Attraverso oggetti concreti rivisito l’infanzia sia come luogo temporale sia come luogo dell’anima”.

Come è cambiato, secondo lei, il rapporto del pubblico con l’arte dopo la pandemia?

“Mi sembra migliorato, nel senso che oggi le persone frequentano di più le mostre, i musei, le varie manifestazioni culturali. Anche se poi, non sempre, questa sensibilità traspare nella vita quotidiana”.

Domanda di rito: quali le prospettive future?

“Più che parlare di prospettive, vorrei rivisitare felicemente e approfondire alcune ricerche del passato che ancora oggi mi appassionano. Ad esempio vivo con trasporto la mia raccolta di vecchi libri di fiabe, di cui ho fascicolato e riprodotto le copertine disposte in ordine cronologico e le favole più belle”.